Il futuro di Facebook è l’applicazione Messenger

A tu per tu con il capo del prodotto dell’iconcina di messagistica. Whatsapp? «Per le economie in via di sviluppo». La prossima rivoluzione? «I chatbot»

di Martina Pennisi

Tutto punta nella stessa direzione, la sua. E Stan Chudnovsky lo sa: i download e il tempo trascorso sulle applicazioni sono in calo, a crescere è praticamente solo la messaggistica. Del (suo) Facebook Messenger parla soddisfatto da Londra, in una delle tre sedi del colosso californiano nella Capitale britannica.

La partita (interna) con Whatsapp

Nato in Russia nel 1970, ex startupper e con un passato in Paypal, è dal febbraio del 2015 il responsabile del prodotto dell’app di chat di Menlo Park. Anzi, di una delle app. L’altra è Whatsapp, e Chudnovsky ha le idee abbastanza chiare su quale sia la differenza presente e soprattutto futura fra le due iconcine: «Whatsapp (acquistata da Facebook nel febbraio del 2104, ndr) sta crescendo molto nei mercati in via di sviluppo, a beneficio di persone con una scarsa connessione e alcuna possibilità alternativa di comunicare. Messenger si sta comportando bene nei mercati maturi e concede un’esperienza più ricca e variegata. L’accelerazione è destinata a continuare per entrambe». Lui ammette con un sorriso di utilizzare Whatsapp solo per comunicare con i colleghi che ci lavorano sopra.

I bot e l’intelligenza artificiale

A più di due anni dalla mossa di Mark Zuckerberg che ha portato sotto lo stesso tetto due prodotti sostanzialmente analoghi, si fa quindi più chiara la strategia: forte del suo miliardo di utenti, l’app verde viene considerata ottimale per espugnare i nuovi mercati. Quella blu, invece, è terreno fertile per sperimentazioni e innovazioni più avanzate. A partire dai chatbot annunciati nel corso della conferenza degli sviluppatori di aprile. Chudnovsky parla di «decine di migliaia di sviluppatori» coinvolti e di «un interesse molto alto della comunità», ma ammette che «siamo ancora all’inizio». Di certa c’è la candidatura a rimpiazzare le app: «Le persone ne scaricano sempre meno e passano più tempo sulle poche che utilizzano ancora, e le quattro più usate sono di proprietà di Facebook (Facebook, Messenger, Instagram, Whatsapp, ndr)», spiega il manager di origine russa. «Noi vogliamo aiutare gli sviluppatori a raggiungere gli utenti e gli utenti a trovare quello che vogliono senza dover scaricare alcunché o attivare notifiche». Con i bot, appunto, che porteranno all’interno delle chat servizi e informazioni a noi congeniali. «Le notizie ad esempio: non bisogna aprire numerosi siti o altre app, in Messenger ti arriva tutto quello che ti interessa», incalza. E guarda con interesse ai servizi di e-commerce in cui a rispondere sono sia l’intelligenza artificiale sia persone: «È come andare a fare shopping con un amico». La rivoluzione è tanto promettente quanto in fieri, in attesa di vedere gli sviluppi dell’assistente M. Per stimolare gli sviluppatori Menlo Park punta anche su un breve tempo di approvazione dei bot pronti a popolare la piattaforma, si parla di ore.

L’identità reale

Se dovesse riuscire davvero a replicare quanto fatto da Apple con le iconcine, da costola del potente genitore da 1,6 miliardi di scritti attivi, Messenger punterebbe dritto alle redini dell’ecosistema. Chudnovsky lo sa, ma ovviamente non lo dice a chiare lettere. Lo fa capire, quando sottolinea come l’identità reale degli utenti delle app di messaggistica sia il vero valore aggiunto delle stesse. «Sapere con esattezza chi sei è molto importante per metterti in contatto con la tua banca, la tua compagnia telefonica, farti pagare o farti passare i controlli in aeroporto», spiega. E ha ragione. Lo sanno anche Google, Apple e tutte le insegne che stanno insistendo sui dialoghi a portata di smartphone.

L’obbligo del download e gli Sms

Menlo Park ne è consapevole a tal punto da aver iniziato in tempi non sospetti a pensare a Messenger come un prodotto autonomo. Il primo passo risale a quasi due anni fa, quando il colosso californiano ha deciso di imporre ai suoi utenti il download di un’app separata. «C’erano almeno due buone ragioni. Una tecnica: sia Facebook sia Messenger sono app dotate di numerose funzioni, se fossero rimaste insieme non tutti i telefonini sarebbero stati in grado di sostenerle. Poi c’è il discorso dell’esperienza dell’utente, quando vuoi parlare con una persona o con un gruppo ristretto ti si attiva una parte diversa del cervello. Siamo passati da 200 milioni a 900 milioni di utenti, mi sembra abbastanza chiaro che sia stata una strategia vincente». L’approccio è lo stesso adottato in queste settimane per spingere l’app di foto Moments: chi aveva sincronizzato tutti gli scatti del telefonino con il social network deve per forza scaricare Moments. O rischia di perdere tutto. Facebook, in sostanza, viene utilizzato come cavallo di Troia per abituarti a servizi che vengono poi separati, piaccia o no. Visti i 900 milioni, sembra piacere.

La nuova veste

Tornando all’autonomia di Messenger, un piccolo grande passo è stato fatto anche con la nuova veste grafica appena introdotta (vedi foto a inizio articolo, sarà introdotta nel corso dei prossimi giorni). Oltre a evidenziare i contatti preferiti e quelli online, l’app ci ricorda i compleanni. «Su Facebook gli amici sono tanti e ci si può dimenticare di fare gli auguri, questo è un contesto più intimo e diretto», spiega Chudnovsky. Intimo e diretto al punto di dare agli utenti Android la possibilità gestire anche gli Sms tradizionali, «purtroppo su iOs non si può». Allo stesso tempo, però, mezzo di dialogo anche «con chi non è nostro amico sul social network». Oltre Facebook, insomma.

Fonte: www.corriere.it